gli Orrori del castello di Norimberga

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Voto:

Peter Kleist (Antonio Cantafora) giunge in una piccola cittadina austriaca per ricercare le origini della propria famiglia. Un suo antico parente era il sanguinario Barone Otto Von Kleist (Joseph Cotten) che possedeva un enorme castello. Qui, Peter incontra Eva (Elke Sommer) che si occupa della conservazione dei beni storici. Insieme, un po' per noia e un po' per palese demenza, Peter ed Eva decidono di rievocare lo spirito del conte che si mette subito a fare danni.

LA RECE

Il crepuscolo del gotico italiano nelle mani di Bava ha sempre il suo perché, tuttavia non è certo questo il gotico imperdibile.

Interessante documento del tardo periodo creativo di Mario Bava, un cineasta che, ai tempi della produzione, si trovava in un momento di transizione stilistica e commerciale profondamente emblematico delle trasformazioni dell'horror europeo degli anni '70. L'incipit aereo, con la modernità che letteralmente sorvola il paesaggio austriaco, non è un semplice espediente narrativo ma una dichiarazione metaforica dello stato dell'horror italiano di quel periodo, sospeso tra il gotico crepuscolare e le nuove pulsioni della contemporaneità. Meglio riuscito più sul piano visivo che su quello della linearità del racconto, il film si configura come un palinsesto visivo dove Bava rielabora i propri topoi: l'evocazione spettrale che richiama la Maschera del demonio (1960), i villaggi immersi nella bruma che sembrano estratti direttamente da Operazione paura (1966), e l'architettura claustrofobica che echeggia la Frusta e il corpo (1963). Questa autocitazionalità, lungi dall'essere un limite, rappresenta quello che Marcello Gagliani Caputo definisce "l'ultimo respiro conscio del gotico italiano tradizionale". Joseph Cotten, già invecchiato dalle nebbie del tempo de l'Ombra del dubbio (1943), offre una performance di dignitosa stanchezza che rispecchia la condizione stessa del sottogenere. La sua duplice natura – aristocratico contemporaneo/spettro ancestrale – incarna perfettamente la dicotomia temporale che attraversa l'intera opera. La sequenza della vergine di Norimberga che si "mangia" il corpo di Fritz, unico momento genuinamente macabro del film, può essere letta, forzando la lente psicanalitica, come un'ibersione dell'aggressione fallica, con un apparato metallico femminile che penetra le carni del maschio, prefigurando le sovversioni che Dario Argento porterà a compimento con i suoi gialli, Profondo rosso (1975) in testa. Per il resto, grandi urla, grandi corse nella nebbia ed evocazioni di spiriti davvero comiche. Primissima apparizione della piccola Nicoletta Elmi che, come nel succitato film del '75 (e altrove) fa la parte di una bambina un po’ strana. Film noiosetto che avrebbe reso meglio se fosse stato girato in bianco e nero ma a volerlo guardare dal lato migliore, non si tratterebbe di tedio ma di "una strategia deliberata di decostruzione del gotico attraverso il suo rallentamento e la sua ripetizione" (Carlos Clarens). In questo senso, il film di Bava può essere rivalutato come un meta-commento sulla morte del gotico italiano, un elegante e consapevole addio a un mondo visivo che, come il Barone Otto von Kleist, era destinato a una resurrezione solo attraverso la sua stessa parodia. Certi generi - scriveva André Bazin - non muoiono mai veramente: si decompongono lentamente, diventando inconsapevolmente i propri fantasmi.

TRIVIA

⟡ Nessun dato, per ora.

Regista:

Mario Bava

Durata, fotografia

97', colore

Paese:

Italia, RFT

Anno

1972

Scritto da Exxagon nell'anno 2006 + modifiche; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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