gli Orrori del museo nero
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A Londra, un assassino colpisce in maniera creativa. Lo scrittore di gialli Edmond Bancroft (Michael Gough) accusa la polizia d’incompetenza ma, in effetti, è proprio Bancroft il mandante degli omicidi. L'uomo ipnotizza il suo assistente Rick (Graham Curnow) che, così, viene plagiato e pilotato dal sadico folle.
LA RECE
Horror vintage e dimenticato ma anche importante nel panorama del genere, in quanto può essere visto come un proto-slasher che, attraverso il suo voyeurismo sadico e la sua esplicita violenza, anticipa non solo l'estetica splatter degli anni '70 ma anche la cifra del torture porn dei primi anni 2000.
Prodotto dell'americano Herman Cohen volato in UK per cercare di consolidare il suo successo come creatore di pellicole exploitation da opporre alla Hammer, gli Orrori del museo nero inaugurava la trilogia sadiana di Cohen, completata da Konga - Terrore su Londra (1961) e Il castello delle donne maledette (1963), un trittico che esplora le intersezioni tra voyeurismo, tecnologia e patologia psicosessuale. Come per altri film di Cohen, questa pellicola, fra l'altro l'ultima diretta da Crabtree, manca di particolari sottigliezze e balzano subito all’occhio sia il sangue, più rosso e visibile possibile, sia diverse belle donne che si spogliano quanto poteva permettere la censura del tempo, sia gli omicidi sadici e malsani ma anche molto originali: una ghigliottina piazzata sopra il letto, un uomo ucciso con la corrente elettrica e poi sciolto nell'acido. Tuttavia, la scena d’omicidio che tutti ricordano e che ha consentito a gli Orrori del museo nero di entrare negli annali del cinema horror, è quello relativo all'uso di un binocolo con due spuntoni che scattano all'esterno degli oculari nel momento in cui l'oggetto viene avvicinato al volto. L'overacting di Michael Gough, che sarebbe risultato inaccettabile ed eccessivo in altre pellicole, qui pare cascare a pennello, dato il tema sopra le righe e l'impostazione furbescamente exploitation. D'altra parte, Crabtree, ex-direttore della fotografia promosso alla regia, porta nell'horror britannico un occhio "clinico" che trasforma lo spettatore in complice visivo delle perversioni del protagonista, e finisce che il cinema UK, inzia ad allontanarsi dalle velleità gotiche vittoriane per abbracciare una cifra sadica che da lì a pochi anni sarebbe esplosa. Il giallista Bancroft è esaltato ed esaltante nella sua arroganza impastata in soliloqui misogini che, a dirla tutta, fanno il paio con l'assurdità del fatto che l'uomo riesca, con l’ipnosi, a trasformare l'assistente in un mostro dal volto deforme e pallido; una trovata, quella del mostro ipnotizzato, cliché nei film prodotti da Cohen e che si riconnette al tropo del mad doctor o dell'ipnotizzatore malvagio (il Gabinetto del dottor Caligari, 1920; the Amazing Mr. X, 1948). Il suo personaggio, studio di narcisismo patologico, è un ritratto inquietantemente profetico del serial killer come dandy intellettuale e la doppia identità, rispettabile critico di cronaca nera e poi sadico assassino, prefigura il Norman Bates hitchcockiano, sebbene filtrato attraverso una sensibilità decisamente più grandguignolesca. La pellicola risulta diretta con professionalità e la scelta dell'uso del colore esalta le scene più truci facendo del tutto un divertente horror d'annata dalla doppia anima a conciliare senza troppo sforzo, ma senza neppure incredibili risultati, un certo formalismo british di messa in scena e l'exploitation statunitense. Da vedere almeno la prima scena col binocolo che ha influenzato direttamente l'estetica del giallo italiano, in particolare i primi lavori di Mario Bava come la Ragazza che sapeva troppo (1963).
TRIVIA
⟡ Per il soggetto, Cohen trasse ispirazione da una sua visita al Black Museum di Scotland Yard in cui erano esposti bizzarri oggetti usati da veri assassini: il binocolo con le punte, ad esempio, fu usato davvero negli anni '30 da un giovane stalliere per uccidere la propria ragazza.
⟡ La censura britannica reagì con prevedibile allarme al film: il British Board of Film Censors, allora guidato da John Trevelyan (che John Ellis, in "The Social History of Film in Britain," descrive come "un censore relativamente progressista intrappolato in un'istituzione reazionaria"), impose numerosi tagli, particolarmente alla sequenza della vasca da bagno elettrificata e alla scena finale dell'esplosione del museo.
⟡ Il film venne distribuito in HypnoVista, un gimmick pubblicitario inventato da Cohen che prevedeva un prologo pseudo-ipnotico che avrebbe dovuto infleunzare le platee, idea di Cohen in anticipo sulla moda dei gimmick poi esaltati da William Castle.
⟡ Questo film fu il primo, fra quelli distribuiti dalla AIP, ad essere contemporaneamente a colori e in Cinemascope.
⟡ Graham Curnow fu l'amante dell'attore Victor Spinetti. Con i soldi guadagnati recitando in questo film nei panni dell'assistente Rick, Curnow comprò un appartamento a Londra in Manchester Street dove i due andarono a vivere insieme.
Titolo originale
Horrors Of The Black Museum
Regista:
Arthur Crabtree
Durata, fotografia
95', colore
Paese:
UK
1959
Scritto da Exxagon nell'anno 2008; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
