la Ragazza che sapeva troppo
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Voto:
Nora Davis (Leticia Roman) è un'americana in vacanza a Roma. Le ferie della donna non saranno piacevoli: Nora subirà un’aggressione per la quale verrà ricoverata. In ospedale, Nora viene ritenuta alcolizzata e pazza. Il dottor Marcello Bassi (John Saxon) prende a cuore il caso della donna, poi ospitata da Laura Craven-Torrani (Valentina Cortese). In casa di quest’ultima, Nora trova degli indizi riguardanti un omicidio avvenuto anni prima e simile a quello che lei stessa aveva visto poco prima di essere aggredita.
LA RECE
Qui inizia la codifica del giallo all'italiana, rimpasto di Hitchcock, Clouzot, Christie, con una forte sottolineatura psicopatologica, più altri particolare che faranno la fortuna dello spaghetti giallo argentiano.
Dopo il successo de la Maschera del Demonio (1960), horror di solidi radici gotiche, Bava capitalizzò sulla nuova corrente dello psycho-thriller portata al successo da Psyco (1960) benché l’onomastica porti ad un altro hitchcockiano, l'Uomo che sapeva troppo (1934). Pur rimanendo legato allo stile giallo-rosa caratteristico dei thriller-neri precedenti a Sei donne per l'assassino (1964), Bava codificò le caratteristiche di un genere, poi sistematizzato dai primi lavori di Dario Argento, rifacendosi alle suggestioni di Hitchcock ma, non meno, a quelle dettate da i Dabolici (1954) di Clouzot. La Ragazza che sapeva troppo si gioca fondamentalmente sul giallo della Christie (il modus operandi del killer, infatti, omaggia "La serie infernale") ma va ad aggiungere tutta una serie di ambiguità narrative e suggestioni inquietanti legate alla psicopatologia che rendono il quadro decisamente più sinistro rispetto ad un semplice giallo; si pensi all'uso di una canzone registrata (“Furore” di Celentano) che viene fatta sentire in maniera distorta, oppure al valore di un testimone oculare, di un ricordo confuso che non si riesce a mettere a fuoco o, ancora, a luoghi pubblici che diventano carichi di minaccia o, per finire, al movente fra il venale e il patologico. A questo si aggiunga lo stile registico di Bava che gioca con primissimi piani o campi larghi e sfrutta al massimo le potenzialità del bianco e nero con un ampio ricorso alla silhouette in una sorta di modernizzazione del gotico. Narrativamente, la costruzione della tensione è superiore all'effetto: tutti potrebbero essere i colpevoli fino a giungere ad una totale ambiguità del racconto, con un recupero dello stile di Val Lewton (il Bacio della pantera, 1942), per cui la veridicità di esso viene messa in dubbio dagli stessi protagonisti che pensano di averla sognata causa uso di marijuana. Bava codifica anche l'elemento comico all'interno del racconto orrorifico, interpolazione che diverrà un classico nei gialli del decennio ’70, ivi compresi i lavori di Argento; qui, l’inserimento di alleggerimenti comici trova giustificazione per pressioni esercitate dalla AIP che pensava già alla distribuzione in USA e, in effetti, aveva pensato al film, in una precoce fase, come ad una commedia. Al di là dei meriti storici che fanno del film di Bava un passaggio obbligato per tutti coloro che vogliano saperne di giallo all’italiana, la pellicola, di buona suspense e qualche momento di paura, risulta un gradevole sipario vintage anche per i non cinefili che abbiano passione per lo stile hitchcockiano. Voto, però, complesso: se l’importanza storica del film è innegabile, il Mario Bava d’eccellenza andrebbe cercato altrove.
TRIVIA
⟡ Nessun dato, per ora.
Regista:
Mario Bava
Durata, fotografia
90', b/n
Paese:
Italia
1962
Scritto da Exxagon nell'anno 2007 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
