La più bella serata della mia vita

Voto:

Alfredo Rossi (Alberto Sordi), in Svizzera per esportare illegalmente capitali, corre in macchina per raggiungere una fascinosa motociclista. La sua macchina sportiva andrà in panne in una zona montana, nei pressi del castello del conte della de la Brunetière. Rossi verrà ospitato dal Conte (Pierre Brasseur) e dai suoi amici ex magistrati e giudici, i quali trasformeranno la cena serale, coadiuvata dalla bella cameriera Simonetta (Janet Agren), in tribunale sadico che rivela il degrado morale del protagonista attraverso indagini e pressioni psicologiche crescenti.

LA RECE

Basandosi su Dürrenmatt, Scola e Amidei creano una commedia nera che diventa kammerspiel gotico preveggente, a dire dello stesso Scola, anche del berlusconismo. Albertone, ovvio, straborda ma va bene così. Janet Agren… cosa te lo dico a fare. Film fascinoso per atmosfere enigmatiche e finale cinico-demoniaco, nonostante alcune debolezze nelle sequenze oniriche.

Mio cult personale che, quindi, si becca il Fast-Rating “RAD” senza neanche passare dal Via; esso rientra nel novero di quei film che io vidi da bambino, al fianco dei nonni guardando la tv su qualche tv locale, che mi impressionarono per la loro ambigua natura ironico-orrorifica, senza, peraltro, subire alcun fascino o disturbo dalle suggestioni erotiche, una sola in questa pellicola, che, evidentemente, non trovavo “unheimlich”, perturbanti, rilevando la nudità femminile come una cosa naturale. Benone. Ma parliamo del film, va’. Basato su "La Panne" di Friedrich Dürrenmatt, il film vede Scola collaborare con Sergio Amidei per dare vita a una commedia nera sul conformismo borghese negli anni della grande espansione della classe media italiana; e Alberto Sordi, interprete naturale delle italiche genti, non poteva mancare in un simile ritratto sociologico. Il racconto prende le mosse da eventi apparentemente triviali ma simbolicamente densissimi: l'esportazione di capitali in Svizzera, l'italiano merlo maschio appresso la straniera, l'automobile potente quintessenza del narcisismo pop da arricchito - il mito ignorante della Lambo per i nouveaux riches odierni - che si guasta. Già in questa premessa si condensa l'intera parabola della storia. Quando Alfredo Rossi - cognome che vale per tutti gli italiani - giunge fortunosamente al castello de la Brunetière, si innesca una cena delle beffe, e anche un po’ una Grande abbuffata, che assume i contorni di un vero e proprio kammerspiel dai toni sottilmente gotici; in essa, e tramite essa, gli ospiti eserciteranno una pressione crescente sull'anima dell'italiota fino a spremerne tutto il succoso degrado morale. Sordi, interprete cinematografico dell'italiano medio con le sue furberie, libidini e debolezze, replica qui il copione con la consueta maestria: gigioneggia, straborda - come sempre, del resto, essendo Albertone soprattutto un caratterista assoluto - rappresentando quella banalità del male incarnata in un uomo che, paradossalmente, non smette mai di risultarci simpatico. I suoi ospiti svizzeri, perlopiù sgradevoli nell'aspetto (soprattutto Michel Simon, che morirà tre anni dopo) e nei modi, si trasformano in un tribunale grottesco e sadico, complici, a loro volta, della violenza e dei sotterfugi della società borghese pur ergendosi a giudici di essa. Al di là della trama, non banalissima ma intuibile nei suoi sviluppi, risultano fascinosi certi particolari mai completamente spiegati: la natura enigmatica della circoscritta popolazione del castello de la Brunetière, le musiche elettro-gotico-da-camera di Armando Trovajoli, gli ambienti del castello e quella camera da letto dove dormì Napoleone in un letto in miniatura. Senza dimenticare la presenza della cameriera Simonetta, interpretata da una Janet Agren mai vista così bella in altre pellicole (l'Assassino ha riservato nove poltrone, 1974; Mangiati vivi!, 1980; Paura nella città dei morti viventi, 1980). Il finale offre una chiusa cinica, sommersa dalle risate folli del dottor Rossi che ridisegna l'intera vicenda attraverso una lente fatalistica, se non addirittura demoniaca. È un epilogo che resta negli occhi per un po’ dopo la fine dello spettacolo, il che vale molto per un film. L'affetto che provo per questa pellicola - vista e rivista un numero di volte francamente poco salubre - non mi impedisce di riconoscere alcune debolezze, non tanto relative all'overacting dell’Albertone nazionale, quanto, piuttosto, relative a come Scola ha gestito le cornici oniriche, rese in modo un po' blando e convenzionale. Fastidioso anche il missaggio audio nelle scene iniziali in città. Ciononostante, la Più bella serata della mia vita rimane, per me, “totally RAD”, un piccolo capolavoro dell'inquietudine sociale, capace di trasformare una semplice cena in un microscopio puntato sui vizi e le ipocrisie umane. Un film che, dopo decenni, conserva intatto il suo potere di fascinazione e disturbo; una delle pietre angolari della mia formazione cinematografica.

TRIVIA

Ettore Scola (1931-2016) dixit: “Fin dall'infanzia, la storia è stata un argomento che mi ha affascinato, e ciò che continuavo a chiedermi era come sarebbe stata la vita quotidiana se Cesare o Mussolini avessero cambiato rotta. La mia simpatia è sempre andata a quei milioni di persone che non hanno partecipato a quelle scelte, ma che hanno dovuto seguirle.” (IMDb.com).

⟡ Il Castello de la Brunetière non si trova in Svizzera ma in Francia e parecchio distante dalle Alpi, ovvero nel dipartimento Eure-et-Loir. In realtà, le riprese furono effettuate a Brunico, in Trentino Alto Adige.

⟡ L'attore Pierre Bresseur (1905), vero nome Pierre Espinasse, che veste i panni centrali del Conte, morì durante le riprese del film (14 agosto 1972) per un attacco cardiaco, ed è tristemente ironico il fatto che il suo personaggio, parlando di sé stesso e di quando dovrà morire, dica: "Eh, verrà anche per lui la sua ora!".

Fast rating

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Regista:

Ettore Scola

Durata, fotografia

106', colore

Paese:

Italia, Francia

Anno

1972

Scritto da Exxagon nell'agosto 2025 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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