le Foto di Gioia
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Voto:
Gioia (Serena Grandi) è una modella nonché editrice di una rivista di foto erotiche. Il suo lavoro viene sconvolto nel momento in cui una delle sue modelle viene barbaramente uccisa. Sembra che il killer abbia una vera ossessione nei confronti di Gioia, tanto che perseguita la donna spedendole foto dei cadaveri piazzati davanti alle sue gigantografie. Tutti, per un motivo o per un altro, potrebbero essere i colpevoli.
LA RECE
Giallo-horror manifesto di un'epoca cinematografica che, in declino, annaspava e copulava con le nuove logiche televisive pur di rimanere viva. Serena Grandi perfetta sintesi di tutto ciò.
Sintesi di quel periodo ibrido che furono gli Ottanta cinematografici, almeno nell’ambito del bis italiano, a cavallo fra i nostalgici rimpianti dei capolavori che si ebbero nei decenni precedenti ma con un occhio, e una mano elemosinante, verso le nuove sensibilità insegnate dal tubo catodico. Bava figlio aveva già accennato qualcosa con l'eccentrico Body puzzle (1982) ma è con quest'ultimo film che, in un anelito exploitation diretto a lenire i pruriti del grande pubblico, farà spirare il killer visionario fra le morbide mammelle di Serena Grandi. A posteriori, e dopo anni di insonni riflessioni, pervengo alla comprensione del fatto che la scelta di Serena, ritenuta inizialmente “grezza”, vista anche la possibilità di ingaggiare altre belle attrici più adatte all’horror, sia stata, in realtà, la miglior soluzione, la perfetta sintesi di un decennio di crapulonerie, ambizioni grasse, strabordanti e sciocche come la cicala che nell’inverno seguente al giro del millennio la pagherà cara, la pagherà tutta. Le dive del Sessanta e Settanta, carnose per dettami dello star system post-bellico o longilinee alla Twiggy, lasciavano il passo a donne vaporose dai capelli alle cosce, femminone di un fellinismo stordito da jingle, push-up e yuppismo alla Wall Street che, qui da noi, fu sempre un po’ risibile. Serena Grandi, ordinata a Lamberto Bava da logiche televisive che imprimevano ai cineasti i faccioni più succosi sul grande schermo, è la pietra filosofale di un’alchimia post-moderna, di cui oggi gustiamo i velenosi frutti, in cui l’erotismo sottile e aristocratico dell’allusione viene sostituito dall’hard-discount ultra-pop(pe) nel quale la merce va annusata, tastata, spremuta, rovinata e poi gettata. Ed ecco il grande inganno degli anni ’80: ciò che era mostrato veniva confuso con un’esperienza reale, concreta, materiale, da cui il “delirio di ac-cessibilità”, ovvero la suggestione che cotanta abbondanza raccontata fosse accessibile a tutti, lì dall’essere vinta o guadagnata, quando, al massimo, poteva essere acquistata; si guardi Fantozzi per una tristemente ironica resa del concetto. Tutto il film di matrice gialla e tema persecutorio è, in effetti, strutturato in modo da far risaltare il giunonico corpo della Serena nazionale che si adegua a sequenze scientificamente costruite per esaltare il suo corpo da Venere di Willendorf, con pioggia che rende trasparente il vestito come in un contest di maglietta bagnata. Stessa sorte exploitation tocca a Trine Mechelsen (Spettri, 1987), nel film Kim, che si fa maneggiare le tette da due modelle di colore. Pure una Sabrina Salerno primo sale, e disgraziatamente non doppiata, va per il nudo integrale. Ovvio che l'horror rimane schiacciato sotto chili di natiche e seni. Nessuno sembra resistere al fascino provinciale della Grandi e sia gli uomini sia le donne si dichiarano innamorati di lei: è l'apoteosi della società dei consumi, del troppo che non stroppia, è il Serena-movie per eccellenza in cui le ambizioni di recupero delle malsane atmosfere argentiane si arenano su inettitudini e inverosimiglianze varie inghiottendo anche le citazioni più o meno dotte (Karl Zinny come tributo a la Finestra sul cortile, 1954). Bava, in tanto soft - porno, horror, fate voi - alza il tiro e inietta una visionarietà interessante e guizzi weird che ci consente di vedere con gli occhi del killer i volti delle vittime trasformati chi in un grande bulbo oculare, chi in un’ape. Il cast, prono al vassallaggio nei confronti di Serena, si accoda alla sua mediocrità tecnica: Daria Nicolodi sembra un po' fuori posto e il suo modo di recitare, sempre nervoso o isterico, alla lunga risulta stucchevole; meglio George Eastman (Luigi Montefiori) che stropiccia la Grandi ma il suo ruolo nel film è assimilabile a un cammeo. Più che un buon giallo-horror, le Foto di Gioia è il manifesto di un’epoca, un documento. Tanto va la gatta al lardo che i distributori, pubblicizzando il film solo per il fattore Serena, ne decretarono l’insuccesso nelle sale.
TRIVIA
Lamberto Bava umilmente ammise: “Forse, a posteriori, l’unico rammarico è la scelta di Serena Grandi che, decisa a cambiare il suo status di bonazza, non ne voleva sapere di spogliarsi. […] Ha fatto mettere sul contratto che avrebbe mostrato sì e no le tette, senza capire che se faceva vedere il culo era Serena Grandi, se no non era nessuno. E lo dico con simpatia perché come persona era anche piacevole, ma come attrice… Per aiutarla le ho messo intorno anche dei veri attori come Daria Nicolodi e David Brandon” (Nocturno dossier 24, 2004).
⟡ Gioia, nelle versioni anglosassoni, diventa Gloria.
⟡ Karl Zinny è il figliastro di Remo Girone nonché figlio di Victoria Zinny (Fantasma d'amore, 1981) e fratello di Veronica Zinny (Macabro, 1980), la quale, quest'ultima, è sorella minore di Urbano Barberini (Demoni, 1985; Opera, 1987). Tutto in famiglia.
Regista:
Lamberto Bava
Durata, fotografia
94', colore
Paese:
Italia
1987
Scritto da Exxagon nell'anno 2007; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
