Nella mia pelle

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Voto:

Esther (Marina de Van), a causa di un banale incidente, si ferisce la gamba. Al posto di curare le ferite, queste iniziano ad essere esplorate dalla donna, toccate, riaperte e ciò con grande preoccupazione del compagno Vincent (Laurent Lucas). Per Esther, che inizia anche a scadere nelle sue performances lavorative, inizia una caduta su di sé, sul suo corpo, che viene trattato come una parte scissa della propria persona, viene mangiato, e brandelli di pelle vengono conservati.

LA RECE

Non un film sull'incomunicabilità fra persone, come da molti supposto, ma, piuttosto, sull'incomunicabilità fra il Sé e il corpo, e sul narcisisimo che veicola attraverso la fesicità tutto senza che nulla si debba comprendere.

Dramma orrorifico francese, quindi d’essai, ça va sans dire. Primo lungometraggio per la francese Marina de Van che avrebbe dovuto procedere con un cortometraggio (la parte finale in split-screen), come i suoi lavori precedenti e, invece, poi trovò i finanziamenti di Laurence Farenc. Nella mia pelle non è un film di facile comprensione ed obbliga a compiere qualche ricerca per squadernarne il senso che molti hanno erroneamente connesso ad una dramma dell’incomunicabilità; e non si capisce il perché, dato che i personaggi intorno alla protagonista, soprattutto il suo compagno, si mostrano ricorsivi nel verbalizzare le loro preoccupazioni per lo strano comportamento di Esther, né lei li tace per incapacità ad esprimerli ma, piuttosto, per desiderio di tenere per sé ciò che è suo. Quindi, no, l’incomunicabilità non c’entra nulla. Nella mia pelle non è un film di Truffaut solo perché viene dalla Francia, né l’incomunicabilità, grande dramma paradosso della nostra era di interconnessioni, può sempre andare bene come le espadrillas d’estate. Le informazioni biografiche della stessa de Van sotto riportate permettono di comprendere che il soggetto del film nasce molti anni prima e s’innesta in un’esperienza psicologica peculiare che ha pressato la giovane Marina ad una curiosità per il proprio corpo di carattere depersonalizzante, quasi che il proprio Sé e il proprio corpo non fossero una cosa sola. Benché non sia dato di conoscere il quadro personologico della de Van, né la progressione che quei vissuti hanno avuto dagli anni infantili all’età adulta, è decisiva l’ammissione della regista: “Il narcisismo è il soggetto del mio film e il problema del mio personaggio. È difficile pensare il contrario. Allo stesso modo, quando Esther si fotografa, lo fa più per l'impulso di una ricerca narcisistica, per vedere se stessa o per convalidare la sua presenza, che per l'idea, vaga, di un espediente artistico; questa ambizione è estranea a Esther. Capisco perfettamente il carattere di Esther, poiché nasce dai miei impulsi e dalle mie ansie” (objectif-cinema.com). Nella mia pelle è, quindi, prima di tutto, un pezzo di cinema fortemente autoriale nel senso più radicale del termine, cioè, de Van mette sullo schermo il proprio personale “essai”: la storia d’amore di una donna per il proprio corpo, lacerato, vampirizzato ed erotizzato, che arriva alla consumazione, inteso sia come consunzione sia come matrimonio consumato. Se mai di incomunicabilità si volesse parlare, si tratterebbe di quello strano scollamento, avvertito come acuto dalla regista, fra il proprio corpo e ciò che il corpo fa durante il giorno: competere nel mondo lavorativo, camminare, relazionarsi con l’altro. La ricerca di identità attraverso l’esplorazione del corpo della de Van/Esther arriva ad una condivisione con il pubblico nel momento in cui si opta per l’esposizione di suoi nudi frontali in un gioco voyeuristico-esibizionistico. In fondo, tutto è riassunto nella frase che il dottore (Adrien de Van, fratello della regista) pone alla protagonista mentre la medica, incredulo circa il fatto che la donna non si sia accorta della gravità delle ferite e del dolore che avrebbe dovuto provare: “È sicura che la gamba sia sua?”. Quindi, sì, Nella mia pelle è un film sull’incomunicabilità, non fra le persone ma fra l’anima di una donna e la casa che abita, così che, per comunicare con il corpo, la prima regredisce ad un piano arcaico di esplorazione orale e tattile; un piano parafiliaco, narcisistico e pre-psicotico. Questa incapacità delle parti del Sé di discorrere armonicamente, di ri-conoscersi, di integrarsi, presuppongono ovviamente che Esther distrugga qualsiasi rapporto umano, dato che se non si sa parlare a Sé stessi, difficilmente si è capace di interfacciarsi efficacemente con altri. Film pregno ma anche imploso, incapace di parlare con chiarezza allo spettatore e, come il corpo di Esther, pro-grammaticamente difficile da comprendere nella sua armonica globalità, ma narcisisticamente e obliquamente desideroso che il suo mistero venga esplorato, non compreso. Bel gioco perverso, signora de Van! Il bravo attore Laurent Lucas, da vedere in Alléluia (2014), tornerà in un film che ha qualche similarità con questo lavoro della de Van, Raw - una cruda verità (2016) ma sono molti gli horror nei quali l'universo femminile esprime il vertice dell'orrorifico tramite il body horror o, meglio, la destabilizzazione dell'immagine del Sé e del priprio corpo (May, 2002; Excision, 2012; A mia sorella!, 2001). Curioso e non casuale, evidentemente.

TRIVIA

Ad otto anni, Marina de Van (1981) venne investita da un’auto che le ruppe una gamba: “La cosa strana è che non ho fatto nessuna delle cose che ci si potrebbe aspettare. Non sono svenuta e non ho sentito davvero dolore. Invece, ho visto la mia gamba come se non facesse parte del mio corpo, come se fosse un oggetto. Per me, quindi, era un oggetto deformato affascinante". Quando la madre le mostrò le radiografie della gamba, le fece notare che mancava una parte dell'osso gettato via dopo un'operazione. "Questo intensificò molto la mia sensazione di estraneamento dalla gamba. Non era mia, ma ero ossessionata dall'idea di guardarla". Tornata a scuola, la De Van e le sue amiche facevano un gioco in cui le infilzavano con aghi le cicatrici dell'incidente che erano diventate insensibili. "Ero allo stesso tempo orgogliosa di me stessa per essere insensibile al dolore e terrorizzata dal fatto che il mio corpo fosse diventato privo di sentimenti" (theguardian.com).

⟡ Nessun dato, per ora.

Titolo originale

Dans ma peau

Regista:

Marina de Van

Durata, fotografia

93', colore

Paese:

Francia

Anno

2002

Scritto da Exxagon nell'anno 2013; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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