L'Ombra del gatto
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Voto:
Contemporaneamente ad un percorso di rinnovamento verso il colore e la rilettura delle icone horror, vampiro in testa, la Hammer si adagiò, con l’Ombra del gatto, nei good old days del bianco e nero e nel genere old dark house goticheggiante, abitata da una serie di attori che corrono su e giù per la magione per acchiappare un gatto in odore di Edgar Allan Poe. La trama vede Walter Venable (Andre Morell) uccidere la moglie Ella e seppellirla nel parco della tenuta, per poi ossessionarsi con la ricerca e l’uccisione della gatta Tabitha, amato animale di Ella. La polizia indaga sulla scomparsa di Ella e la nipote Elizabeth (Barbara Shelley) arriva con altri parenti, accorgendosi che tutti sono più preoccupati del gatto che della donna scomparsa; fanno bene perché il gatto sembra consapevole di ciò che è successo e pare pure causa di misteriosi incidenti mortali che coinvolgono vari membri della famiglia. Il film nasce in un contesto produttivo peculiare. Girato ai Bray Studios - quartier generale della Hammer fino al 1966 - per esso viene coinvolta l'équipe tecnica che aveva contribuito ai successi della casa: lo scenografo Bernard Robinson, il truccatore Roy Ashton, l'esperto di effetti Les Bowie, il direttore della fotografia Arthur Grant. Presente anche Barbara Shelley, attrice ricorrente nei titoli Hammer più celebrati ed anche in altri titoloni (il Villaggio dei dannati, 1960; lo Sguardo che uccide, 1964; Dracula, principe delle tenebre, 1966; l’Astronave degli esseri perduti, 1967; ); tuttavia, il marchio della compagnia non compare nei titoli di testa, alimentando speculazioni sulla natura esatta della produzione, ovvero lasciando supporre che l’Ombra del gatto ricadesse nel novero dei "quota quickies", film a basso costo prodotti per soddisfare la legislazione britannica che imponeva una quota di produzioni nazionali. La premessa narrativa non brilla per originalità: come detto, riecheggia "Il gatto nero" (1843) di Poe con la sua tematica della colpa che ritorna sotto forma animale, mentre la struttura ricorda il Castello degli spettri (1927), con i suoi congiunti che si eliminano vicendevolmente nella speranza di impossessarsi dell'eredità. Vero, però, che la regia di Gilling e la fotografia di Grand inquadrano efficacemente gli spazi della magione, con i suoi corridoi ombrosi e le stanze scarsamente illuminate, così come le sequenze nella palude circostante con una natura complice del turbamento narrativo, proprio secondo la lezione gotica ottocentesca. In quest’ottica, il bianco e nero diventa un’affascinante risorsa espressiva nella descrizione della colpa e del castigo. Benché si sia ben lontani dal livello dell’ambiguità lewtoniana (il Bacio della pantera, 1942) anche qui ci si gioca, e non troppo male, l'ambiguità sulla natura degli eventi: il gatto è davvero veicolo di forze paranormali o i personaggi, divorati dal senso di colpa, proiettano sull'animale una capacità punitiva che esiste solo nelle loro menti? Questa oscillazione tra razionale e soprannaturale, tipica del gotico letterario ottocentesco, conferisce uno spessore maggiore ad un film che, rischiando, si disegna come un prodotto che appartiene più agli anni Quaranta che ai dinamici Sessanta; anche se poi, del mystery ’60, si respira il tropo dei parenti pronti a tutto per l'eredità, incarnazione della cupidigia borghese, con il gatto come nemesi; un modello che verrà assorbito dal nostro spaghetti thriller. Per gli spettatori meno indulgenti, tuttavia, questo gotico in bianco e nero che privilegiava l'atmosfera rispetto agli shock visivi, potrebbe risultare un po’ indigesto per l’impianto vecchiotto e le sequenze che si reiterano senza variazioni significative. L’ombra del gatto, opera Hammer minore, resta interessante come pellicola a cavallo fra epoche, e piacevole intermezzo per giornate uggiose. Personalmente apprezzato.
Fast rating

Titolo originale
Shadow of the cat
Regista:
John Gilling
Durata, fotografia
79', b/n
Paese:
UK
1961
Scritto da Exxagon nel dicembre 2025 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
