Proxy
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Voto:
Esther (Alexia Rasmussen) è incinta ma, appena uscita dall’ultima visita che sembra non vivere con grande entusiasmo, viene aggredita per la strada da un misterioso criminale che infierisce con un mattone sul suo ventre, facendole perdere il figlio. Timida e chiusa già di suo, Esther si fa convincere a partecipare ad un gruppo di aiuto psicologico dove incontra Melanie (Alexa Havins) che dice di aver perso figlio e marito. Esther, però, vede non vista l’amica per la strada e, al fianco di Melanie c’è un figlio e scoprirà esserci anche un marito. Esther, peraltro impegnata in una turbolenta relazione lesbica con Anika (Kristina Klebe), si invaghisce di Melanie poiché sente un’affinità peculiare. Molti, però, sono i dati mancanti.
LA RECE
Narrazione frammentata, puzzle psicologico, cambio di prospettiva tra i personaggi rivelando gradualmente le loro motivazioni nascoste. Un "nuovo" tipo di horror prossimo a lavori quali Babadook di Jennifer Kent o Hereditary di Ari Aster.
Hitchcockiano anzichenò, con il suo cambio di prospettive a metà percorso ma con un incipit di una brutalità che il buon Alfred mai avrebbe proposto in uno dei suoi intrighi psycho-thriller: difficile non stringere i pugni nella scena che vede Esther Woodhouse a terra (notare il cognome identico alla protagonista gravida di Rosemary's baby, 1968) il cui ventre viene preso a mattonate dall’assalitore incappucciato. Proxy, però, non è né un horror, né un satanic-movie, né uno splatter. Dopo il sorprendente Scalene (2011), Zack Parker gioca ancora con linee narrative e personaggi non ovvi e un titolo che anticipa il modus operandi di tre donne per nulla equilibrate, ovvero il crimine “by proxy”, cioè messo in atto tramite qualcun altro. Si tratta, qui, di un film di quelli per i quali meno si dice e meglio è; e così sarà fatto, onde devastare la visione che si fa spettacolo proprio per il progressivo disvelamento di particolari non di rado confusi fra l’immaginato e il reale. Ciò che di Proxy può essere detto senza tema di smentita è che esso presenta una centralità femminile assoluta con donne tanto protagoniste quanto psicologicamente danneggiate che sono in cerca di un legame e di attenzioni in modo talmente acuto da farsi mortifero; un film in cui la perdita, il lutto, l’assenza, diventa terreno di cultura dell’identità. In effetti, Proxy, così come eccede nell’intrigo narrativo, eccede non poco sul piano strettamente psicologico finendo per fare delle sue creature degli eccessi psicopatologici difficili da trovare realmente sul campo, e ancor più rari da intercettare in combinazione. D’altra parte si tratta di un film, e certe esasperazioni valgono bene lo spettacolo che, a tratti, colpisce sotto la cintola e, comunque, mai sfianca nonostante le due ore di durata. Interessante, ripeto, il sottotesto di fame d’amore e attenzione (chi voglia approfondisca la Sindrome di Münchhausen by proxy) e una lettura della maternità e dello stato gravidico lontano dai sinistri buonismi delle mamme pancine, da confrontare con Prevenge (2016) diretto da una Alice Lowe davvero incinta.
TRIVIA
Zack Parker (1978) dixit: “A causa della struttura di questo particolare film, sapevo di dover colpire duramente il pubblico fin dall'inizio. Tendo a essere quello che alcuni definirebbero un regista "diesel". Mi piace una storia che richieda tempo, e che costruisca uno sviluppo dei personaggi e del loro mondo. Sapevo che se fossi riuscito a sbilanciare il pubblico in fretta, dandogli la sensazione che in questo film potesse succedere di tutto, mi avrebbe fatto guadagnare il tempo di iniziare a costruire la storia. È quasi una promessa; resta con me, e qualcosa del genere accadrà di nuovo più tardi. Trovo che finisca per creare un bel po' di suspense e di tensione innata durante lo svolgimento del film” (dreadcentral.com).
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Id.
Regista:
Zack Parker
Durata, fotografia
120', colore
Paese:
USA
2013
Scritto da Exxagon nell'anno 2017 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
