Bone Tomahawk

Voto:

Franklin Hunt (Kurt Russell), sceriffo di Speranza, si trova a dover coordinare un manipolo di uomini per recuperare la dottoressa Samatha (Lili Simmons) rapita da una tribù di indiani cannibali che vive in una condizione di primitiva brutalità. Insieme a Franklin partono all’avventura il suo vice Cicoria (Richard Jenkins), Arthur (Patrick Wilson) marito della rapita e zoppo per una gamba gravemente ferita, e l’arrogante John Brooder (Matthew Fox) ex soldato con comprovata esperienza nell’uccisione di indiani. Quello che li aspetta, però, va ben oltre il tipico eroismo da selvaggio west.

LA RECE

Western-horror di rara brutalità ma anche di una grande finezza in scrittura. Un western che sappia sorprendere a XXI secolo inoltrato non è cosa che debba passare inosservata.

Debutto registico di Zahler, artista poliedrico capace di vincere premi come scrittore, suonare la batteria in due band metal usando il nome d’arte Czar, operare come direttore per la fotografia per pellicole indie e scrivere la sceneggiatura di the Incident (2011) prima di far parlare di sé con questo film e con il successivo e altrettanto acclamato Cell block 99: nessuno può fermarmi (2017). Scritto nel 2007 e parzialmente ispirato ad alcuni racconti di H. Rider Haggard, Bone tomahawk si avventura in un territorio inusuale per quanto non del tutto originale, quello del western horror, visitato, a partire dal 1959, da l’Uomo senza corpo di Edward Dein per arrivare, cinquant’anni dopo, a the Borrowers (2008) che con Bone tomahawk presenta, sulle prime, qualche similarità. Il film di Zahler, tuttavia, si distingue nei toni non solo dal film del 2008 ma da buona parte delle produzioni western-horror che, non di rado, fanno capo a un plot incentrato, come per il classico il Grinta (1969), sul viaggio di uno o più coraggiosi nel periglioso territorio indiano. Il brutale incipit di Bone tomahawk rappresenta, in nuce, tutto ciò che caratterizzerà il film: cruda violenza, realismo di rappresentazione del west secondo una rilettura moderna del mito della frontiera americana, e sovrabbondanza di dialoghi che suonano come riscrittura raffinata dello stile di Tarantino. Dopo questa prima scena propedeutica, Bone tomahawk si va a strutturare come un western decisamente attento alla scrittura dei protagonisti. Quindi, abbiamo modo di vedere all’opera un cast assolutamente in forma sul quale svetta, per fama popolare, un attempato Kurt Russell immerso nella parte tanto quanto lo era in the Hateful eight (2015) con al fianco un assistente interpretato con grade delicatezza da Jenkins e scritto con altrettanta perizia dal regista che ovviamente, da factotum qual è, si è occupato anche della sceneggiatura. Ad accompagnare le figure apicali, i due personaggi non meno riusciti interpretati da quel Fox reso famoso dal serial Lost (2004-2010) e da Wilson nei panni di un dolorante marito che trascina la sua gamba incancrenita al recupero di una principessa tenuta segregata dagli orchi come provvista alimentare. È proprio con l’arrivo dei nostri eroi a salvare la pulzella nel territorio dei mostri umani che Bone tomahawk assume le forme di un horror-cannibal di rara brutalità benché le scene di sangue siano numericamente limitate. Come avrà modo di sottolineare il buon vice Cicoria, la tana della tribù temuta da tutti gli altri indiani è l’inferno, non Green ma siamo suppergiù da quelle parti (Green inferno, 2013). Infilato fra le pietre come uno scorpione, e livido come un fantasma, il clan che comunica solo con orribili versi vive un’esistenza percorsa da un misterioso misticismo che forse, ma non è dato sapere, determina la loro esoterica natura. Certo è che questi barbari sono brutali e cannibali al pari di quelle famiglie orrorifiche del genere backwood-brutality (Non aprite quella porta, 1974; le Colline hanno gli occhi, 1977), e si riproducono con donne alle quali vengono amputati gli arti e accecati gli occhi con tappi di legno; quest’ultima, una delle immagini più forti dell’intero film. Come nella fiaba di Hansel e Gretel, i prigionieri vengono tenuti in gabbie finché non sono abbastanza carnosi da poter essere cotti sulla brace, e non prima di averli spaccati in due con una procedura che va a collocare Bone tomahawk sul podio fra le pellicole che abbiano osato mischiare western e l’orrore più spinto. Il film di Zahler, però, primeggia non tanto per brutalità ma per la scrittura e per alcune eleganti sottigliezze che passano in sordina come, ad esempio, il fatto che i nostri eroi trasportino dinamite per attaccare i selvaggi ma che, alla fine, non si faccia mai ricorso alle classiche e spettacolari esplosioni; rarissimo un film che mostri dell’esplosivo che poi non trovi utilizzo! Un film western che sappia sorprendere a XXI secolo inoltrato non è cosa che debba passare inosservata. Consigliato.

TRIVIA

Steven Craig Zahler (1973) dixit: “Scrivete ciò che pensate sia buono, perfezionatelo, diffondetelo e ripetete questo processo per anni. Trovatevi un lavoro quotidiano che sia soddisfacente, e lasciate che la vostra mente si alleggerisca, così che l’unica pressione che subiate sia quella di essere uno scrittore migliore e non di diventare ricco a Hollywood” (IMDb.com).

⟡ Girato in 21 giorni nella parte orientale della California, il film è costato poco meno di due milioni di dollari. 

⟡ John Brooder indossa la stessa fondina che Johnny Ringo (Michael Biehn) indossava in Tombstone (1993). 

⟡ I due tagliagole dell’incipit sono interpretati dall’attore Sid Haig, famoso per il suo ruolo di Capitain Spaulding in la Casa dei 1000 corpi (2003), e da David Arquette che, per la seconda volta, partecipa a un film che mescola western e cannibalismo: la prima volta fu con l'Insaziabile (1999).

Titolo originale

Id.

Regista:

S. Craig Zahler

Durata, fotografia

132', colore

Paese:

USA, UK

Anno

2015

Scritto da Exxagon nell'anno 2019; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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