un Gatto nel cervello

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Voto:

Lucio Fulci, nella parte di se stesso, è oppresso dall'orrore che negli anni è scaturito da tutti i film che ha girato. In preda a terribili incubi, il regista chiede aiuto allo psichiatra Schwarz (David L. Thompson): Fulci crede di essere un omicida ma, in realtà, è il medico a essere un killer.

LA RECE

Uno degli ultimi girati da un Fulci stanco. Operazione di una certa importanza esegetica per chi segue il cinema di genere italiano; assolutamente superflua per gli altri.

Operazione sentimentale di un Fulci ormai in disarmo costata 180 milioni di lire e girata in 16 mm poi gonfiati a 35. Lo spunto per la sua creazione è da riportare con dovizia di particolari: “È una storia che ho inventato a dispregio della psicanalisi. […] Ho vissuto per tre anni con una psicanalista, disprezzando il suo lavoro e volendole molto bene. Un giorno successe una cosa che mi fece impazzire, perché tornò a casa e non mi salutò. Si chiuse in cucina. Speravo almeno mi preparasse da bere e da mangiare, invece pochi minuti dopo ritornò e mi disse: “Sei un essere allucinante!”. Rimasi di stucco, anche perché sono molto mite nella vita privata, e lei: “Sono andata a vedere lo Squartatore di New York e mi sono resa conto che sei un uomo violento”. Tra lo stupito e il divertito, le dissi: “Ma come, sono due anni che vivi con me e non ti sei accorta che sono un uomo normale? Se tu cominci a fare un parallelo tra chi sono io e quello che racconto su schermo, allora il gioco dell’arte è bello che finito. Sei un’ignorante.” Naturalmente finimmo per litigare. Un gatto nel cervello è, così, una seduta di psicanalisi abortita. Per interpretare lo psichiatra ho scelto apposta un “cane” […] per sbeffeggiare la categoria” (Nocturno dossier 3, 2003). Fulci, ovviamente, aveva ragione da vendere: è come andare da Picasso e dirgli che i suoi dipinti fanno supporre che lui abbia gravi problemi di vista. E, aggiungo da terapeuta, se anche l'arte prodotta da una persona possa sempre contenere delle sue proiezioni inconsce o delle sue pulsioni, il fatto che esse si declinino nell'opera e non nella realtà fa l'enorme differenza fra salute, o sublimazione, e patologia e crimine. Inoltre, se dovessimo essere specchio esatto del nostro inconscio, mi chiedo chi si salverebbe dal giudizio più severo (basta vedere i nostri sogni, non serve nenanche che giriamo un film). Davvero bizzarro che una psicanalista sia inciampata su questo punto; c'è da sperare che abbia preso la palla al balzo per esprimere un malcontento relazionale che veniva da più lontano. Ad ogni modo, nonostante "l’ironico" spunto, un Gatto nel cervello si mostra come un collage raffazzonato di altri lavori fulciani, di una pochezza tecnica ammessa dallo stesso regista che, ormai, aveva sparato le sue migliori cartucce; le tre pellicole finali prima della dipartita (Demonia, 1990; Voci dal profondo, 1991; le Porte del silenzio, 1991) si possono considerare produzioni ben poco soddisfacenti, nate per sfruttare il mezzo televisivo più che il grande schermo. Con un Gatto nel cervello, pellicola a tratti delirante sia per quel che mostra sia per il come, Fulci tenta un discorso metacinematografico: lui, regista di horror, viene sopraffatto dalla stessa materia trattata per anni. Fulci creò una pellicola che pare la concretizzazione su celluloide dell'aforisma di Nietzsche: "Se guarderai a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarderà dentro di te". Chiaramente, il regista gioca con il suo materiale e con il suo personaggio ma l'immagine del Fulci, squassato da incubi splatter in un vortice schizofrenico che confonde realtà e fantasia, non rispecchia la vera personalità del cineasta, in realtà molto più solare di quanto appaia nel film. Eppure, con tutte le dovute cautele, il film inquadra con una certa vivacità, pur grossolana, l'universo di un uomo che ha dedicato buona parte della sua arte a terrorizzare il pubblico e a usare lo splatter come un'arma puntata contro i benpensanti. L'arma, però, è a doppio taglio e Fulci ne fa le spese. Il finale si conclude in maniera beffarda, come dire che solo i cretini si prendono davvero sul serio. L'operazione, in sé, è ardita e le potenziali riflessioni sono molte, eppure un Gatto nel cervello va ad infrangersi contro la pochezza dei mezzi e delle idee accessorie che avrebbero aiutato il tema centrale a svilupparsi meglio. Per gli amanti del low-budget italico e dello splatter, il film è, comunque, una vera e propria pacchia: vedere il Nostro in golfinetto rosso che si strofina le mani e, sullo sfondo, le piastrelle che mia nonna aveva in cucina, mi ha fatto sentire a casa.

TRIVIA

⟡ Parte della colonna sonora viene da E tu vivrai nel terrore: l'Aldilà (1981). 

⟡ Fino al febbraio 1999, questo film era bandito nel Regno Unito; è passato privo di censure solo nel 2003 ma vietato ai minori di 18 anni. 

⟡ Lo script originale era lungo 49 pagine e non conteneva dialoghi. Vi erano descritte solo scene di omicidi e notazioni musicali. 

⟡ La regista tedesca aggredita da Fulci nel film rappresenterebbe una donna amata dal regista stesso nei suoi ultimi anni di vita, una donna, però, poco stimata da Lucio che la pose in quella condizione nel film proprio per riflettere la poca stima che nutriva per lei. 

⟡ Nell'ultima scena si vede Fulci che si allontana in barca con alcune belle ragazze. La barca ha nome "Perversion" che, non a caso, è il titolo internazionale del thriller di Fulci noto in Italia come Una sull'altra (1969). 

⟡ Due possibili interpretazioni per il titolo del film. Nel primo caso si farebbe riferimento alla sensazione di stridore che Fulci sente provenire dall'interno della sua testa, come se dentro di essa avesse un gatto. Una seconda spiegazione, più dotta, vorrebbe che il titolo, traducibile in inglese "a Cat in the Head", sia un gioco di parole relativo al libro per bambini "a Cat in the Hat" scritto dal Dr. Seuss nel 1957.

Regista:

Lucio Fulci

Durata, fotografia

87', colore

Paese:

Italia

Anno

1990

Scritto da Exxagon nell'anno 2011; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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