i Piaceri della tortura

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Voto:

Tre storie si intersecano. Le spese mediche del convalescente Shinza lievitano e, così, sua sorella Mitsu si concede al datore di lavoro di Shinza perché paghi i debiti; tuttavia, Mitsu è investita anche dall'amore incestuoso del fratello. In un convento penetra il desiderio: suore e sacerdoti che non dovrebbero entrare in contatto, finiscono per desiderarsi: Reiho non gradirà che il monaco Shunkai la rifiuti dopo averla posseduta. Horicho, il tatuatore più famoso dell'epoca Edo che tratta temi bondage, mostra la sua ultima opera d'arte su pelle ma Nambara lo prende in giro dicendo che non sa rendere bene la sofferenza: Horicho ha bisogno di studiare la tortura dal vero.

LA RECE

Opera inaugurale del controverso ciclo ero-guro della Toei Company e svolta nell'estetica cinematografica giapponese, dove tradizione feudale, trauma nazionale e liberazione sessuale convergono in un linguaggio visivo perturbante.

Film cardine di Teru Ishii che, in quegli anni, portò l’eroguro di Nakagawa Nobuo (Jigoku, 1960) su lidi ancora poco battuti in Occidente (qualche anticipo con il kinky White slaves of Chinatown, 1964) ma che poi diverranno un must nelle produzioni exploitation fra suore torturate ed altre cose erotico orrorifiche. La pellicola jidai-geki di Ishii è, per definizione, un dramma in costume radicato nel periodo Tokugawa (1603-1868) o il precedente Sengoku ma, a scanso di equivoci, non si tratta di plot cappa e spada ma di storiacce erotico-sadiche con decisi elementi splatter e un compiacimento per l'esibizione della violenza che sfidava le convenzioni. Se, oggi, la visione di Shogun's joy of torture, com'è più noto a livello internazionale, arriva con una certa quota di tedio per l'affastellarsi di situazioni che richiamano l'ormai sdoganata iconografia bondage nipponica (shibari), si riconosce al lavoro di Ishii una cura scenografica, attoriale e fotografica spesso assente nei lavori exploitation e, più ancora, la seminalità del suo ero-guro nei confronti di tanti discendenti che vanno dal fumetto manga, agli entai e al cinema iperviolento di registi contemporanei come Takashi Miike (Ichi the killer, 2001) e Sion Sono (Why Don't You Play in Hell? 2013), che hanno riconosciuto il debito verso quella che lo studioso di cinema giapponese Tom Mes definisce "l'estetica del trauma spettacolarizzato" di Ishii. Di importante notazione, il fatto che la lavorazione del film coincise con le massive proteste studentesche del 1968, creando una curiosa sincronia tra la rappresentazione della repressione feudale e le contemporanee tensioni socio-politiche; tale ribellismo visivo, parttecipazione di quello collettivo, assunse però la forma nevrotizzata (cioé compromesso fra la liberazione sessuale e il modello culturale reazionario) di una narrazione per la quale il corpo femminile diventa simultaneamente oggetto di desiderio, violenza e trascendenza; forse, esso stesso, metafora della nazione giapponese. Questo ne lima gli spigoli exploitation. Vedibile senza troppi entusiasmi ma almeno da conoscere per questioni di storia del cinema. Con un seguito ancor più brutale: Shogun's sadism (1976) che, però, non è di Ishii del quale, invece, si consiglia Yakuza's law (1969).

TRIVIA

⟡ Nessun dato, per ora.

Titolo originale

Tokugawa onna keibatsu-shi

Regista:

Teruo Ishii

Durata, fotografia

85', colore

Paese:

Giappone

Anno

1968

Scritto da Exxagon nell'anno 2014; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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