4 mosche di velluto grigio
Voto:
Il musicista Roberto Tobias (Michael Brandon) viene incastrato da un misterioso ricattatore che gli fa credere di aver ucciso un uomo; lo stesso ricattatore inizierà ad uccidere le persone coinvolte nella truffa. Roberto, che si butta in un'indagine privata, si farà aiutare da Dio, ovvero Diogene (Bud Spencer), un uomo che vive di espedienti.
LA RECE
L'ultimo film della Trilogia degli Animali argentiana. Evolve il discorso dell'osservazione e della memoria, leitmoviv del regista. Emerge anche il perturbante del viso "bambolesco". Da vedere.
Chiusura della cosiddetta Trilogia degli Animali inaugurata da l’Uccello dalle piume di cristallo (1970) e ancora in debito con il romanzo “la Statua che Urla” di Fredric Brown come per il film del ’70, nonché evoluzione delle logiche argentiane relative al tema della vista o, meglio, della realtà filtrata dall’osservatore, mediato da Blow-Up (1964) di Antonioni. Argento, qui, crea un protagonista non più spettatore smemorato di un crimine ma partecipe del crimine stesso, aprendo un certo discorso fra la capacità di discriminare fra il reale e l'apparenza, fra il timore di aver commesso un crimine e i fatti concreti, nonché la cessione di una corretta visione dei fatti che passa, paradossalmente, da un cieco (il Gatto a nove code, 1971) ad un morto che, sulla retina, porta impressa la verità. Sempre connessa a questo discorso, inizia ad emergere prepotentemente la soggettiva attraverso gli occhi dell’assassino, marchio argentiano imitato in tantissimo cinema successivo, nonché il viso di un pupazzo come elemento perturbante, un’evoluzione orrifica dei manichini baviani (Sei donne per l’assassino, 1964), che troverà molteplici emuli anche internazionali e culmine orrorifico in Profondo rosso (1975). Rispetto ad altri film argentiani, la trama di 4 mosche di velluto grigio s’intrica parecchio ma non perde di compattezza, benché la suggestione per l’immagine e le atmosfere, cosa che poi si farà stato dell’arte in Suspiria (1977) e Inferno (1980), superi di gran lunga un intreccio un po’ meccanico con una spiegazione finale connessa alla genetica (molto pop ma poco scientifica) che, tuttavia, si declina nell’implicita descrizione di un mondo dominato dalla patologia mentale che fa delle persone delle vittime o dei carnefici. Ben inseriti i due protagonisti, Brandon e Mimsy Farmer (il Profumo della signora in nero, 1974), i quali, con la loro incomunicabilità (non si conoscono affatto, e il finale lo evidenzierà), si fanno anche vettori biografici per il regista, dato il rapporto conflittuale che ai tempi viveva con Marisa Casale. Relativamente riuscito l'utilizzo di Bud Spencer; complesso per il pubblico riconoscere in un ruolo drammatico l’attorone appena uscito dalle fatiche di Trinità. Tuttavia, il buon Carlo Pedersoli, proprio per l’inaspettato utilizzo in un film argentiano, funziona come piacevole elemento di contrasto, fungendo, peraltro, da Dio(gene) ex machina nel finale ma anche come viatico di episodi comici... non brillantissimi. Eccellenti, invece, i rulli di tamburo di Morricone e, soprattutto, i virtuosismi tecnici dell'Argento nazionale che partono da una ripresa da dentro una chitarra e finiscono con l’utilizzo della Pentazet, un’avveniristica cinepresa di proprietà di un ateneo napoletano di fisica che poteva girare fino a 30.000 fotogrammi al secondo al posto dei canonici 24, quindi realizzando rallenty chirurgici. Imperdibile per gli appassionati di cinema di genere, 4 mosche di velluto grigio ebbe già a suo tempo un successo più che discreto per poi incappare in problemi connessi al diritto d’autore che andranno a ritardare la diffusione televisiva e homevideo.
TRIVIA
⟡ La casa di Roberto è sita in via Fritz Lang, evidente omaggio di Argento al maestro del cinema espressionista tedesco. La casa, in realtà, era in viale dell'Esperanto nel quartiere EUR di Roma, a poca distanza da dove, undici anni dopo, il Dario nazionale girerà alcune scene di Tenebre (1982).
⟡ Nei panni di Dalia, l’attrice Francine Racette sulla quale il direttore di produzione Angelo Iacono raccontò: “[Argento] era geniale anche in questo, non ha mai inserito scene di nudo se non per esigenze di coerenza narrativa. Mentre giravamo il film c’era Francine Racette un’attrice canadese che poi ha sposato Donald Sutherland, era imbambolata, non sapeva stare in scena, la vedevamo proprio in difficoltà, per sciogliersi le davamo un bel bicchiere di whisky. (Iachetti, 2017).
⟡ La storia che Stefano Satta Flores (nel film Stefano) racconta alla festa, ovvero quella del cuoco francese seppellito, è ripresa da un monologo contenuto nel romanzo “Mattatoio N° 5” di Kurt Vonnegut.
⟡ L’attore Brandon risultò subito perfetto per la parte, ad eccezione del colore degli occhi; Argento gli impose di mettere lenti a contatto chiare.
⟡ L'ufficio di Arrosio è situato presso la Galleria Subalpina di Torino a due passi da piazza Castello e via Po. L’uccisione dell’uomo si verifica nei bagni pubblici della Metropolitana di Milano, linea uno, quella rossa. Nella finzione scenica la fermata è Lotto ma, in realtà, la stazione dove furono effettuate le riprese è Duomo; in una sequenza in cui i passeggeri scendono dal vagone si legge il nome della stazione sulla parete di fondo. La toilette della metropolitana corrispondeva a quella vera solo per l'esterno; internamente, il bagno fu ricostruito per intero in un teatro di posa a Roma.
⟡ Il parco dove viene uccisa la domestica di Roberto è quello di Villa d'Este, Tivoli.
⟡ L'interno in cui avviene la finta morte di Carlo Marosi è il Teatro Nuovo di Spoleto ma la facciata è quella del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.
⟡ Nel finale, l'incontro tra Andrea e Maria Pia si svolge davanti alla fontana di piazza dei Quiriti a Roma.
⟡ La moschea che fa da sfondo all'incubo è la Grande moschea di Qayrawan in Tunisia.
Regista:
Dario Argento
Durata, fotografia
104', colore
Paese:
Italia
1971
Scritto da Exxagon nell'anno 2005 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
