il Profumo della signora in nero

Voto:

La scienziata Silvia Hacherman (Mimsy Farmer) lavora per un'industria chimica, vive sola e intrattiene una relazione affettiva. La donna, però, ha anche strane allucinazioni che riguardano un suo vecchio trauma infantile legato alla madre, l'amante di lei e ciò che successe mentre il padre di Silvia andava per mare. Il delirio e la paranoia di Silvia aumentano a causa di alcuni fatti di sangue e per lo strano comportamento dei vicini di casa. Quasi abbandonata da tutti nel quartiere Coppedé di una Roma estiva e deserta, Silvia si giova solamente della compagnia di una bambina bionda che sa consigliarla per il meglio.

LA RECE

Uno dei nostri migliori. Thriller barilliano ma su binari di Polanski. Con un ritmo non sostenutissimo, la protagonista Silvia e noi con lei veniamo guidati in un mistero fatto di traumi, controtarumi, persone sinistre e una Roma silente e deserta. Finale rosso sangue. Da vedere.

Esordio di Barilli con un paranoia-movie nato come fusione di due soggetti sviluppati dal regista: la storia di una donna folle, e quella di una setta di borghesi ginevrini che praticano cannibalismo. Ne sortisce il Profumo della signora in nero che, pur dovendo molto a Rosemary's baby (1968) e Repulsion (1965) sia per il soggetto sia per l'aspetto della Farmer, riesce ad essere anche più accattivante, più inquietante e più splatter dei riferimenti. Francesco Barilli (Pensione paura, 1978), ex attore in Prima della rivoluzione (1964) di Bertolucci, costruisce quello che soltanto superficialmente potrebbe essere definito un giallo, poiché non ne soddisfa tutti i criteri per la molteplicità di spunti presi che, al di là del film del ’68, possono essere rintracciati anche in A Venezia... un dicembre rosso shocking (1973) di Roeg, Operazione paura (1966) di Bava e la Corte notte delle bambole di vetro (1971) di Lado. Il regista sa mescolare con buon equilibrio il thriller, l'horror più classico con tocchi gotici, così come, alla fine, lo splatter che arriva brutalmente a strappare le raffinatezze visive fino a poco prima espresse. La lenta discesa nel delirio di Silvia spiazza anche lo spettatore portato a confonde, come la donna, realtà e finzione, tanto che, alla fine del film, tutti i pezzi del puzzle non riescono a comporsi in un disegno omogeneo e razionale. Tuttavia, ciò che può apparire come vaghezza rende la pellicola più eterea ed immersa in un tempo imprecisato il cui effetto straniante viene catalizzato dalle immagini di una Roma desolata che, per inciso, era quella di piazza Mincio. I due binari narrativi, quelli dei due soggetti che Barilli aveva pensato come destinati a due film diversi, convergono e si sovrappongono nel delirio di una vita che ti insegue, ti porta alla pazzia e poi ti fagocita facendoti sparire nel nulla. Un viaggio orrorifico per la protagonista Silvia che ricalca in forma allucinatoria “Alice nel paese delle meraviglie”, e nel quale il suo lato infantile traumatizzato viene proiettato all’esterno nei panni della bambina. La deliziosa Farmer, l’anno dopo ancora in un ruolo di donna confusa con Macchie solari, riesce a dare il meglio tramite la sua fisicità leggera e insicura, dimostrando di essere un gradino sopra le tante attrici che nei prodotti del '70 facendo leva sulla loro procacità. Fra i coprotagonisti, interessante il Sig. Rossetti (Mario Scaccia), vicino di casa affabile e invadente con un'espressione che nasconde qualcosa di malsano; nonché l'inquietante bambina Daniela Rachele Barnes che reciterà in altre produzioni sotto lo pseudonimo Lara Wendel (Maladolescenza, 1977; Tenebre, 1983; la Casa 3 - Ghosthouse, 1988). In questo horror finito nel novero dei gialli, sia per il periodo in cui fu prodotto, sia per il titolo con il quale fu distribuito, qualcuno ha voluto vedere anche spunti poi ripresi da Argento con Inferno (1980); di certo, la medium che legge nella mente di Silvia ricorda, e non poco, la Helga di Profondo rosso (1975). Il film è impreziosito dalle musiche di un Nicola Piovani esordiente il cui score è davvero incisivo, fra l'inquietante e il nostalgico, uno dei migliori fra i gialli degli anni '70. Finale macabro che graffia una narrazione fino a poco prima improntata alla mestizia e all’eleganza. Uno dei migliori horror italiani della decade ‘70, lento ma non troppo e godibile anche dal mainstream più curioso.

TRIVIA

Francesco Barilli (1943) dixit: “All’estero ci sono paesi che producono horror bellissimi e che poi vendono in tutto il mondo, non riesco a capire perché l’Italia la pensi in tutt’altro modo. […] la Rai non ne vuole sapere e nemmeno 01 e Medusa, perché li compra dall’estero e fa prima. […] Il fatto è che qui non si svegliano. Però sono stupidi, perché fanno un cinema italiano tutto uguale, a parte Gomorra e Sorrentino” (taxidrivers.it).

⟡ Uno dei motivi per cui il film venne realizzato, cosa non ovvia dato che il finale sembrava troppo gore ai potenziali finanziatori, è che la lettura della sceneggiatura terrorizzò Flora Carabella, moglie di Marcello Mastroianni.

⟡ Come gimmick promozionale, Enrico Lucherini organizzò lo svenimento di una suora in una sala cinema, con tanto di ambulanza fuori ad attenere la finta sconvolta.

⟡ Mimsy Farmer, ai tempi, era la moglie dello sceneggiatore Vincenzo Cerami, poi popolarmente noto per aver scritto la Vita è bella (1997). I due divorziarono nel 1986.

⟡ Il quadro che si vede sopra al letto della madre venne dipinto dal regista ancora prima dell’inizio delle riprese; per Barilli quel lavoro ad olio rappresentava la protagonista Silvia e sua madre.

Regista:

Francesco Barilli

Durata, fotografia

101', colore

Paese:

Italia

Anno

1974

Scritto da Exxagon nell'anno 2006 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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