l'Uccello dalle Piume di Cristallo

Voto:

Lo scrittore americano Sam (Tony Musante) sta soggiornando a Roma con la fidanzata Julia (Suzy Kendall). Una notte, Sam è testimone di un'aggressione perpetrata in una galleria d'arte ai danni di Monica Ranieri (Eva Renzi). Quest’ultima sopravvive e Sam viene informato dalla polizia che il colpevole è un misterioso serial killer. L'uomo è perplesso poiché crede di aver visto qualcosa che potrebbe far scoprire l'identità del colpevole, eppure non riesce a ricordare un importante particolare. Sam rimane a Roma e s'improvvisa investigatore, mentre il commissario Morosini (Enrico Maria Salerno) ha difficoltà a risolvere il caso.

LA RECE

Si inaugura qui il genere spaghetti giallo per come più popolarmente noto. Argento rilegge Bava, Antonioni, Hitchcock e il giallo classico e gli inietta una quota grottesca e psicopatologica, portando l'omicidio sul piano di una coreografia di morte. Film quintessenziale.

Apripista dello spaghetti giallo più commerciale, evoluzione psicopatologica del giallo gotico e del sexy-giallo lenziano, una revisione moderna che rimaneggiava lo psycho-thriller hitchcockiano (Psyco, 1960), le visioni urbane, i cromatismi e le violenze di Mario Bava (la Ragazza che sapeva troppo, 1963; Sei donne per l'assassino, 1964) e certe riflessioni sulla fallacia della percezione e della memoria che trovano in Blow-Up (1966) di Antonioni il migliore riferimento; tutto ciò filtrato attraverso un nuovo approccio registico composto non poco dalle personali nevrosi di Argento, linfa per la resa artistica. L’Uccello dalle piume di cristallo nasce da una novella di Fredric Brown, "La Statua che Urla", la cui lettura fu suggerita ad Argento da Bernardo Bertolucci e di cui il regista romano realizzò una riduzione non autorizzata, tuttavia molto più fedele al romanzo rispetto alla riduzione ufficiale realizzata da Gerd Oswald (la Statua che urla, 1958). Pur di dare al film un tocco autoriale sgradito a quelli della Euro International, lì lì per offrire il timone registico a Duccio Tessari (una Farfalla con le ali insanguinate, 1971), Dario Argento fondò, con il padre Salvatore, la Seda, associandosi alla Titanus che, però, visti i primi girati, avrebbe preferito passare il lavoro a Ferdinando Baldi (Nove ospiti per un delitto, 1977; la Ragazza del vagone letto, 1979). Quindi, in un clima produttivo avverso, il cinefilo scarno e nervoso di nome Dario Argento, insistette con una pervicacia ammirevole nell'imprimere una sua peculiare cifra stilistica; ed ebbe ragionissima, non solo perché il suo primo film incontrò immediatamente il plauso del pubblico pagante, ma anche perché enorme sarà l’impatto della sua visione sul cinema di genere e quello mainstream, anche odierno. Argento, rielaborando le suddette fonti, crea un’originale sintesi di fattori espressi con rigore chirurgico innestati in una dimensione di vaghezze e “imprecisioni”. Se il killer di nero vestito e guantato (mani sempre del regista) fu, in effetti, un’invenzione Baviana, Argento innalza allo stato dell’arte l’iconografia dell’omicida e dell’omicidio, arbiter elegantiarum di ciò che diventerà una coreografia di morte che inizia ben prima dell’omicidio, ovvero nelle sue fasi prodromiche (compreso il disegno che artisticamente lo racchiude), poi nell'esecuzione fra brillamenti di metalli d’arma bianca, sangue rosso in maniera irreale (quindi perturbante), nella violenza delle donne e contro le donne (da cui le accuse di misoginia), nell'importanza della soggettiva del killer portando lo spettatore sul piano (colpevole) del primo, e nella scelta di scalzare i consueti zoom del giallo-sexy per optare su montaggi con raccordi sull’asse, ovvero un montaggio che, mantenendo la stessa prospettiva di visione, avvicinasse o allontanasse di colpo la visione dello spettatore. E, ancora, la minacciosa voce distorta del killer al telefono, il passato come coacervo di segreti e turbe psichiche a sostituire i moventi ereditari ed assicurativi, l’efferatezza dell’omicidio in cui il sadismo assume una peculiare cifra erotica per la sudetta estetica di rappresentazione. In questa rigorosa punteggiatura diagnostica necessaria per riconoscere il giallo argentiano e i suoi accoliti, si va ad iscrivere una paradossale cifra “ingenua” data dalla polizia che non sa fare il proprio lavoro, un protagonista non deputato dalla legge che si trova ad indagare, la visione incerta che crede di percepire correttamente e invece fallisce o fatica a ricordare, i disegni inquietanti a tratto infantile, cornici comiche di alleggerimento (quasi mai divertenti) e una scrittura dei dialoghi di poca salienza. Il primo cinema di Dario Argento è, insomma, un crogiolo di paura, pensieri malsani, incubi grafici, musiche malevole e personaggi vignettistici dal vago gusto felliniano; è un orrore che permea gli ambienti, anche se essi non sembrano partecipare direttamente al turbamento dei protagonisti, così come insegnava la lezione gotica. L'Uccello dalle piume di cristallo, per quanto calato nella realtà urbana, sembra avulso dal quotidiano contesto di vita, sia per lo stile di ripresa, sia per le scenografie, sia per la storia che si va a configurare come una malsana fiaba in cui la patologia mentale prende il posto della magia nera, qui, quindi, solo in potentia rispetto agli esiti favolistici e metafisici di Suspiria (1977). Pietra angolare del cinema giallo, l’Uccello dalle piume di cristallo inaugurò la "Trilogia degli Animali" poi completata da il Gatto a nove code (1971) e Quattro mosche di velluto grigio (1971), ma sarà Profondo rosso (1975) a rappresentare la quintessenza del genere. Il successo commerciale obbligò i produttori che volessero cavalcare l’onda del successo argentiano ad una corsa ai titoli in assonanza con l’onomastica che voleva l’indicazione di un animale e quella di un colore e/o di un numero. L’impatto de l’Uccello dalle piume di cristallo scavalcò le Alpi: Alan Pakula riprese subito la soggettiva del killer e la cantilena per una Squillo per l’ispettore Klute (1971); Richard Marquand, in Doppio taglio (1985), ripropose il primo omicidio con la vittima sdraiata sul letto. Solo per dirne due. Completano il capolavoro le musiche di Morricone, che ripesca sonorità contemporanee da un Tranquillo posto di campagna (1968), e la fotografia di Vittorio Storaro al suo primo film a colori. Film inserito da Steven Schneider nell'elenco dei “1001 film da vedere prima di morire”. Seguite il consiglio.

TRIVIA

Guai al cinema per il giovane Argento all’uscita del film: “Alla fine della prima proiezione di l’Uccello dalle piume di cristallo a Bologna, con un’ansia tremenda, ho detto qualche parola sconnessa agli spettatori chiedendo se avevano domande da fare. Hanno cominciato a insultarmi; questa specie di fighetti che erano venuti al cinema tutti “perbenino”, con la loro cravattina, hanno cominciato a dirmene di tutti i colori: “Ma non si vergogna a mostrare tutto quel sangue? Ma lo sa che la possono arrestare?” Io cercavo di difendermi senza sapere proprio come fare, finché non si alza in piedi una ragazza e mi dice: “Sei un fascista bastardo, un mascalzone, fai vedere tutte queste donne uccise… spero che qualche femminista ti prenda a schiaffi”. Non sapevo che dire. Ho risposto: “Spero di prenderle io a calci nel culo” (Nocturno dossier 18, 2004).

⟡ Il titolo del film venne in mente ad Argento mentre era al ristorante con alcuni amici. Gli piaceva l’idea di abbinare due cose contrastanti: la fragilità del cristallo con la solidità del becco e degli artigli di un volatile.

⟡ A film uscito, pare che Sergio Corbucci, che insieme a Bava aveva lavorato a Sei donne per l’assassino, telefonò a quest’ultimo per chiedergli se non fosse il caso di denunciare Dario Argento per plagio. Mario Bava consigliò di lasciare perdere, aggiungendo che Argento era stato più bravo di lui.

⟡ La specie di uccello Hornitus Nevalis citata nel film non esiste, quella che si vede è una Gru Coronata Grigia.

⟡ Nello script era compresa una scena di omicidio sul tram che Argento scartò per poi utilizzarla come soggetto per l’episodio il Tram nel contenitore giallo la Porta sul buio (1973).

⟡ La sceneggiatura fu scritta da Argento in cinque giorni.

⟡ Eva Renzi considerò la partecipazione a questo progetto un suicidio professionale.

Regista:

Dario Argento

Durata, fotografia

96', colore

Paese:

Italia, RFT

Anno

1970

Scritto da Exxagon nell'anno 2005 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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