Wampyr
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Voto:
Martin Matthias (John Amplas) arriva a Pittsburgh per stare con lo zio Tati Cuda (Lincoln Maazel) vecchio uomo superstizioso fino all’osso che crede, in seguito a una sua personalissima rilettura dei documenti di famiglia, che Martin sia un vampiro di 84 anni, benché, all’apparenza, sembri un giovanissimo uomo. D’altra parte, Martin ha l’irrefrenabile necessità di sedare le donne e berne il sangue.
LA RECE
Romero, per scopi meramente finanziari, dà alla luce un vampiro spoglio di ogni orpello e carisma. La sua è, non stupisce, una lettura psicosociale del vampirismo e della necrofilia. Film più che interessante ma è horror autoriale non adatto al più largo pubblico.
Il film preferito dallo stesso Romero. Ma mi riferisco a Martin, non Wampyr come venne distribuito da noi, rimaneggiato da Dario Argento e addizionato con le musiche dei Goblin; qui si tratta della recensione dell’originale benché io abbia preferito indicizzarlo con il titolo con cui fu noto in Italia. Martin nacque fra le mani di un Romero in piene difficoltà finanziarie derivate dai pessimi risultati delle pellicole prodotte dopo la Notte dei morti viventi (1968): il regista doveva circa un milione di dollari agli investitori. Non poco. Il produttore Richard P. Rubinstein suggerì a Romero di dichiarare bancarotta, così da evitare di dover risanare i debiti, ma George non voleva deludere coloro che avevano finanziato le sue passate idee. Ecco con che fine nacque Martin, benché i debiti, alla fine, non furono risanati dagli incassi di questo film del ’76 ma da quelli di Zombi (1978); non stupisce, dato che Martin presenta ancora un Romero autoriale a rileggere il mito del vampiro in senso psicosociale con lentezze poco digeribili dal mainstream, peraltro con l’ambizione iniziale, frenata dai produttori, di girare tutto in bianco e nero. Martin destruttura il mito del vampiro, suggerendo (come già fatto in Incense for the damned, 1969) che un vampiro possa essere semplicemente un disturbato mentale con il gusto per il sangue in sinergia a una famiglia (società) oppressiva e bigotta. Il film non arriva mai a una rivelazione finale cristallina, e ci lascia vagare nel dubbio insieme a un protagonista dal piglio esistenzialista che racconta ad una trasmissione radio la vera natura dei vampiri come lui, ovvero che non reagiscono male ad aglio e sole, e che un po’ sono dispiaciuti dal dover assaltare le donne ma, dannazione, devono. Privato di ogni fattore carismaticamente suggestivo, al vampiro non resta che la dimensione emarginata e stralunata e, certo, quella socialmente predatoria più affine a uomini fragili e letali come Norman Bates (Psyco, 1960) che alle pomposità di Bela Lugosi o Christopher Lee. Martin, come mostro legato al mito, esiste unicamente nella mente di chi ne riconosce, in maniera delirante, la natura magica: lo zio Tati, un berciante Van Helsing di provincia, ascoltato solo da un prete cattolico altrettanto bigotto. Abbandonato il fascinoso mantello, i castelli gotici e i denti puntuti - Martin ha anche i denti un po’ rotti! -, il resto sprofonda in una periferia americana senza nessun fascino nella quale il mostro classico non può che essere allucinato in bianco e nero, perché ciò che rimane di concreto sono le inettitudini sociali del protagonista e la sua malsana necrofilia che, poi, sarebbe l’espressione di una sessualità inibita incapace di declinarsi con donne nella loro pienezza. I concetti profondi ci sono, la resa filmica non sempre. Se alcune scene sono ben costruite e con buon ritmo (quella iniziale nel treno e quella che vede Martin sorprendere la donna con l’amante), molta parte del film è una continua ripetizione dello schema, con cadute di tono che rendono la pellicola non particolarmente avvincente ed un finale forse troppo brusco ma che, tuttavia, chiude coerentemente il racconto di una pochezza psico-sociale senza fronzoli dall'inizio alla fine. Seppure il lavoro di Argento e dei Goblin per l’Italia sia curato e aumenti il dinamismo del racconto, il film da vedere è quello con il taglio del regista che anche tramite certe lentezze e vuoti musicali ha voluto dire la sua sulla rilettura dei classici. Consigliato a chi voglia comprendere l’horror nel suo percorso storico; impotabile, invece, per il mainstream.
TRIVIA
⟡ Il taglio originale del film prevedeva l’impegnativa durata di 165 minuti ma non è sopravvissuta nessuna copia con questo montaggio completo.
⟡ La scena nella quale Martin segue la banda musicale in strada fu improvvisata sul momento e venne inserita per dare maggior contrasto al brusco finale.
⟡ Questo è il primo film nel quale l’effettista e attore Tom Savini lavorò agli effetti speciali. In realtà, aveva già prestato le mani in la Morte dietro la porta (1974) e Deranged - il folle (1974) ma nel primo caso come assistente dell’effettista Alan Ormsby e nel secondo come truccatore.
⟡ Il prete cattolico è stato interpretato dal suocero di Romero.
⟡ La casa di zio Cuda apparteneva al fonico Tony Buba e sempre di quest’ultimo erano le foto di famiglia mostrate nel film e attribuite a Martin.
⟡ Il film è stato girato a Braddock, cittadina nei pressi di Pittsburgh (Pennsylvania); molte persone del luogo appaiono come comparse, compresi i poliziotti che erano veri tutori dell’ordine.
⟡ Il produttore Richard P. Rubinstein compare nei panni del marito cornuto.
⟡ John Amplas apparirà in altri lavori di Romero: in Zombi non accreditato e, molto più visibile in il Giorno degli zombi (1985) nei panni del dottor Fisher. Amplas vestì anche i panni del cadavere di Nathan nel segmento Father’s day in Creepshow (1982).
⟡ Christine Forrest, nel film Christina, sposerà il regista Romero nel 1981.
⟡ Romero compare come padre Howard.
Titolo originale
Martin
Regista:
George A. Romero
Durata, fotografia
95', colore
Paese:
USA
1976
Scritto da Exxagon nell'anno 2015 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
