Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave

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Voto:

I coniugi Ruevigny: Oliviero (Luigi Pistilli), un intellettuale alcolizzato con il blocco dello scrittore, e Irina (Anita Strindberg), mantenuta e maltrattata. I giorni nella loro bella villa in Veneto trascorrono fra percosse e festini sexy ai quali partecipano i freakettoni di un camping vicino. Un killer inizia a colpire nei pressi della villa, e Oliviero è il primo sospettato. Tutto precipita quando alla villa giunge la giovane nipote Floriana (Edwige Fenech), un’antipatica borghesuccia che ha già fatto tante esperienze ma... vuole farne altre.

LA RECE

Sexy giallo, veicolo per esibire la Fenech ma con una trama sconclusionata che privilegia l'erotismo agli omicidi. Nonostante il titolo cult e presenze interessanti quali quella della Di Lazzaro e della Bonaccorti, resta un giallo mediocre con sceneggiatura trascinata tra una scena hot e l'altra. A molti è piaciuto più che a me.

Quando madame Fenech non era ancora una produttrice di cinema d'impegno, prima delle commedie scollacciate grazie alle quali è potuta diventare una produttrice di cinema d'impegno, la bella Edwige attraversava la sua fase giallo-thriller nella quale si mostrava generosa allo spettatore ma aveva anche spazi per esprimersi drammaticamente. Qui si ha la possibilità di goderla nel ruolo a tutto tondo di borghese-lesbo-ninfo-spocchiosa-postadolescenziale, anche se, come potete leggere più sotto, Martino nutriva delle perplessità circa la presenza della Fenech nel cast. Il regista, comunque, chiude qui il trittico sexy-thriller iniziato con lo Strano vizio della signora Wardh (1971) in cui si annunciava su un bigliettino il titolo di questo film. L'origine letteraria del soggetto, “Il Gatto Nero” di Edgar Allan Poe, che fu d'ispirazione cinematografica per molti (Sette note in nero, 1977; Black cat, 1981; Due occhi diabolici, 1989) si presenta con le dovute variazioni da cinema bis, tali per cui il gatto si chiama Satana e fa gimcane fra bottiglie di J&B e acqua Pejo. Lo spunto complottista, come al solito da rifarsi a i Diabolici (1955), non manca e, in un clima hippy, innerva le scene di tensione. Tuttavia, è l’eros il primum movens che insuffla vita in omicidi-pretesto coreografati per garantire nipple slips e wardrobe malfunction, per esaltare le carnosità della Fenech impegnata in saffisimi con la Strindberg (migliore a livello attoriale) e sveltine in soffitta, e per appoggiarsi a dialoghi in aria di scult: "È vero che sei una puttanella da quattro soldi?" "Be’, potrebbero essere quattro soldi spesi bene". Film di ulteriore culto per la fugace presenza di due volti poi divenuti molto noti: Dalila di Lazzaro ed Enrica Bonaccorti. La prima nel ruolo di una hippy che balla nuda sul tavolone della sala (scena riproposta anni dopo in Hair, 1979); la di Lazzaro, però, non ne ha un buon ricordo: “Tanta vergogna, in tutti i film dove mi hanno spogliato morivo. […] Per realizzare quella scena ricordo che bevvi due bicchieri di vino per darmi forza. Eravamo in una villa veneta, io adoro il Veneto, ero rossa come un peperone […] Era come strapparsi la pelle” (Iachetti, 2017). La Bonaccorti, invece, nel ruolo, fuor di metafora, della puttana: la scena della sua uccisione, peraltro, è una delle migliori per la presenza di quella bambola a terra che piange o ride, non si capisce. Nel film c’è anche Daniela Giordano che, però, riferisce al mondo cinefilo di non ricordare nulla di quell'esperienza. Buono lo score di Bruno Nicolai benché ripetuto allo sfinimento, e il delirio battuto sui fogli della macchina da scrivere, “uccidere e murare in cantina”, con ben otto anni d’anticipo rispetto a Shining (1980). Meno memorabili, invece, gli effetti speciali, il susseguirsi degli eventi poco collegati fra loro, l’idea di un orrore rurale e una comunità di paese che alberga segreti molto meglio sfruttati in la Casa dalle finestre che ridono (1976) o Non si sevizia un paperino (1972), e la spiegazione finale più che mai macchinosa e insensata. In realtà, esaltato per la presenza della Fenech e per un titolo che più cinema-bis non si può, il Tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave è un giallo-sexy di stampo lenziano parecchio sconclusionato con una sceneggiatura che si trascina fra una scena hot e l’altra, ben lontano dall'essere una pellicola imperdibile.

TRIVIA

Sergio Martino (1938) si rammaricò della scelta della Fenech, visto che lui cercava un'interprete più giovane: "Io immaginavo questo personaggio che entrava nella casa più adolescente, per accentuare ancora di più il lato androgino, efebico. Edwige, con la sua fisicità, mi sembrava non giusta. [...] però, in quei momenti lì, la necessità di averla nei film era fondamentale..." (Giusti, 2004).

⟡ Il regista Lucio Fulci ha riferito che la frase “Il tuo vizio è una stanza chiusa, ma io ho la chiave” venne inventata da lui e dallo sceneggiatore Roberto Gianviti come frase di lancio per il film una Lucertola con la pelle di donna (1971).

Regista:

Sergio Martino

Durata, fotografia

96', colore

Paese:

Italia

Anno

1972

Scritto da Exxagon nell'anno 2008 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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