Wolfman
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Voto:
L’attore teatrale Lawrence Talbot (Benicio Del Toro), nato in Gran Bretagna ma cresciuto in USA, riceve una lettera da Gwen Conliffe (Emily Blunt), fidanzata del fratello Ben, la quale lo informa che il familiare è sparito. Tornato a Blackmore e scoperta la morte del fratello, Lawrence si lancia in un'indagine che lo porterà ad essere gravemente ferito da una bestia feroce. Guarito in maniera repentina dallo scontro con quello che, ovviamente, era un licantropo, Lawrence Talbot dovrà fare i conti con la maledizione; suo padre John (Anthony Hopkins), che lo fa chiudere in manicomio, non sembra essere il migliore aiuto.
LA RECE
Remake rispettoso del classico Universal del '41 che mantiene l'atmosfera gotica vittoriana arricchendola con effetti speciali moderni e una trama padre-figlio di sapore shakespeariano ed edipico. Buona rivisitazione ma non incisiva; infatti, il film è stato poco recuperato negli anni.
Wolfman, ovvero l'Uomo lupo del 1941 ma con il pelo pettinato. Il vecchio film della Universal con protagonista Lon Chaney Jr. fu uno dei classici del tempo e andò ad arricchire la teca dei mostri classici del cinema al fianco di Dracula, del Mostro di Frankenstein, della Mummia e dell'Uomo Invisibile, quest'ultimo, nomen omen, il meno visto di tutti. L'Uomo lupo ebbe il merito di aver tracciato in maniera stabile il paradigma del licantropo; è in questa pellicola, infatti, che si parla dell'avversione del mannaro per l'argento, della sua relazione con la luna e altri particolari che, con il tempo, sono stati confusi con una vera e propria tradizione folkloristica. Per mano dello sceneggiatore ebreo Kurt Siodmak, la pellicola del ‘41 risultava anche una velata metafora dell'Europa vista come zona d'origine del Male; John Landis, consapevole di ciò, in un Lupo mannaro americano a Londra (1981) mostrò licantropi vestiti da SS. Nonostante il successo, la Universal, anche per mancanza d’idee, preferì far scontrare i propri mostri piuttosto che dare al licantropo una sua personalissima saga come, invece, era stato per Dracula e Frankenstein, da cui Frankenstein contro l’uomo lupo (1943), Al di là del mistero (1944), la Casa degli orrori (1945) e il comico il Cervello di Frankenstein (1948). Dunque, si è dovuto aspettare fino ad oggi perché la Universal rimettesse seriamente mano all’icona. La regia viene affidata a Joe Johnston, ex direttore artistico, scenografo ed effettista dell’Industrial Light and Magic che divenne regista per intervento della Disney (Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi, 1989). La sceneggiatura va ad Andrew K. Walker che stupì le platee con lo screenplay di Seven (1995) in collaborazione con il poco noto David Self (Era mio padre, 2002). Grazie al cielo, Wolfman evita di aggiornare al glamour odierno l’atmosfera finemente gotica che contraddistingueva il modello e, of course, il gotico non trova migliore espressione se non fra gli introversi paesaggi inglesi e i viottoli nebbiosi. A tratti piacevole, a tratti piacevolmente prolisso, Wolfman rimane sui binari del film del ‘41 con un sentire che lo rende quasi più ispirato a l’Implacabile condanna (1961) con variazioni quali l’introduzione dell’ispettore Francis Abberline, simpatica citazione del poliziotto Frederick Abberline che indagò sugli omicidi di Jack lo Squartatore (la Vera storia di Jack lo Squartatore, 2001). La variazione principale, tuttavia, è la presenza del padre di Lawrence Talbot interpretato dal più che bravo Hopkins. La cosa si presta a riletture spesse. John è il licantropo che ha terrorizzato la zona, e ciò dà al film, diversamente dalla pellicola del ’41, un cattivo ben identificabile. Oltre a quasto, il dualismo padre/figlio fa assumere al film una prospettiva quasi shakespeariana per la quale Lawrence pare una figura tragica che deve fare i conti con un re da spodestare. È qualcosa che suona anche edipico, non solo perché Lawrence è rimasto sconvolto dalla morte della madre, non solo perché ora si trova a doversi scontrare con il padre ma anche perché la repressione inconscia dell’istinto che si manifesta in maniera mostruosa e distruttiva nella metamorfosi licantropica è un perfetto esempio di conversione somatica del sintomo nevrotico; non che la licantropia del lupo umano del ‘41 avesse spiegazioni psicologiche diverse ma questo film del 2009, introducendo la figura paterna, rende il fenomeno ancor più complesso. L’altra variazione originale è la postdatazione degli eventi. Il film del 1941 si svolgeva negli stessi anni in cui veniva presentato, mentre Wolfman si svolge nell'ultimo decennio del XIX secolo: ciò permette alla costumista Milena Canonero e agli scenografi di realizzare un film in cui lo stile vittoriano incontra il gotico in un’esplosione estetica del tutto peculiare e stilizzata. Nonostante i detrattori del film citino la computer grafica come limite principale, essa, invece, riesce a dare vivace splendore a una storia che, nel 1941, non poteva essere rappresentata al meglio. Molti di coloro che avrebbero desiderato una messa in scena più discreta, temo cadrebbero in catalessi allo scoccare dei primi 15 minuti del film del ‘41 che si distingueva, in negativo, per limiti realizzativi, sia effettistici, sia scenografici. Il film del 2010 non inventa nulla di nuovo, così come l’effettista Rick Baker non stupisce con il computer più di quanto avesse già fatto in un Lupo mannaro americano a Londra, eppure la fotografia di Shelly Johnson, le trasfor-mazioni anatomiche e l’inseguimento per le strade di Londra non sono affatto estetismi scontati, o forse sì, se ci consideriamo spet-tatori viziati. La regia di Johnston è prona alle necessità di un film mainstream che deve cercare di piacere a tutti, deve mettere in risalto le due star protagoniste, gli effetti speciali e le scene adrenaliniche costruite per non far sentire troppo a disagio il pubblico più giovane. Si è anche corso un pericolo nell’aver messo due premi Oscar fianco a fianco e nell'aver scelto come protagonista un attore dal volto latino per il ruolo di un personaggio britannico. Del Toro, tuttavia, grande amante del film del ’41, si era incollato alla pellicola fin da quando venne annunciata nel 2006 e compare anche come produttore; il suo Talbot è efficace e, in effetti, richiama molto bene l’aspetto di Lon Chaney Jr., aumentando di qualche grado il suo umore depresso. Un remake non incisivo, in definitiva, anche perché la lotta fra istinto e ragione è un problema psicosociale superato da un pezzo, ma la rivisitazione filologica della Universal è corretta, il sangue che prima non c’era ora c’è e il lavoro tecnico è pregevole anche a discapito di debolezze in sceneggiatura che possono essere tollerate. A chi si lamenta, consiglio di farsi un viaggio nei veri inferi cinematografici guardandosi la Croce dalle sette pietre (1987) di Andolfi, nel quale un licantropo lotta contro la camorra; vedrete che ci troveremo d’accordo su cosa sia davvero un brutto film sui licantropi.
TRIVIA
Joseph “Joe” Eggleston Johnston II (1950) dixit: “Abbiamo visto così tanti esempi di personaggi digitali che corrono in giro e fanno cose che sappiamo non possono fare […] Volevo che voi avvertiste sempre che, qualunque cosa fosse questa bestia, non stava infrangendo nessuna legge fisica. Aveva una forza e un potere che potevi capire. Fondamentalmente, non volevo fare quello che abbiamo visto in Van Helsing, cioè che puoi fare qualsiasi cosa, ne approfitti e la fai. Il pubblico sa quando non è reale e quando lo è” (collider.com).
⟡ Discreto flop al botteghino: per la produzione sono stati spesi circa 150 milioni di dollari ma gli incassi si sono fermati a 140.
⟡ La casa dei Talbot è la Chatsworth House (Edensor, Derbyshire, UK).
⟡ La scena dello specchio nel negozio di Gwens è una citazione da Frankenstein (1931).
⟡ La locandiera Mrs. Kirk è un riferimento a Minnie, un personaggio de la Moglie di Frankenstein (1935).
⟡ La scena dell'attacco del licantropo a Londra richiama la medesima scena vista in l'Implacabile condanna (1961).
⟡ Quando Lawrence subisce il trattamento con l'acqua fredda in manicomio, l'assistente Lambeth che gli fa le iniezioni è truccato in modo da somigliare al mostro di Frankenstein interpretato da Peter Boyle in Frankenstein Junior (1974).
⟡ Lawrence, così come David in un Lupo mannaro americano a Londra (1981), patisce incubi a tema licantropico e fa sogni nei sogni.
⟡ John Talbot dice di aver già incontrato un orso Kodiak, cosa in effetti successa in un film nel quale aveva precedentemente lavorato Hopkins: l'Urlo dell'odio (1997).
⟡ Il logo della Universal ad inizio film è quello che veniva utilizzato negli anni '40.
⟡ Nel film, che si svolge nel 1891, si vede la Tower Bridge operativa; essa, però, aprì solo nel 1894.
⟡ Non è la prima volta che Del Toro impersona un licantropo. Lo aveva già fatto in Pee Wee Herman's Big Top Pee-wee (1988) in cui vestiva i panni del ragazzo con la faccia di cane. Le musiche di quel film, come quelle di Wolfman, sono state composte da Danny Elfman che, per quest'ultimo film, si è ispirato al lavoro svolto da Wojciech Kilar per Dracula di Bram Stoker (1992) di Coppola.
⟡ Diversi attori, inclusi i rocker Gene Simmons e David Lee Roth, sono stati chiamati per registrare gli ululati del licantropo.
⟡ L'effettista Rick Backer appare nei panni del gitano che fischia prima dell'attacco del licantropo al campo degli zingari.
⟡ L'orso che si vede nella scena del campo zingaro è chiaramente digitale. È stato letteralmente riciclato da un template digitale prodotto per il film The Golden Compass (2007) con alcune modifiche per renderlo più… grizzly.
⟡ La costumista si ispirò agli abiti usati nel film L'Implacabile condanna da Oliver Reed: la maggior similitudine si rileva rispetto alla camicia aperta indossata dal licantropo.
⟡ Solo nel director's cut si vede la scena cameo con Max von Sydow che dice di aver comprato il suo bastone d'argento in Gevaudan. Il Gevaudan è una regione francese nota per essere stato teatro degli attacchi di un licantropo contro la popolazione, o almeno così dice la legenda. La storia del Gevaudan è il pivot del film Il Patto dei lupi (2001).
⟡ L'unico effetto speciale del film nel quale Rick Backer non abbia messo mano è quello del ragazzino licantropo che aveva morsicato Sir John, ciò in quanto Backer riteneva fosse sbagliato mostrarlo nel modo in cui poi, a Roz Abery, fu chiesto di realizzarlo.
⟡ Nell'attacco al campo zingaro, Lawrence salva una donna la cui figlia si chiama Maria, nome omaggio all'attrice Maria Ouspenskaya che recitava nei panni di Maleva ne L'Uomo lupo del '41 e in Frankenstein contro l'uomo lupo (1943).
Fast rating
Titolo originale
The Wolfman
Regista:
Joe Johnston
Durata, fotografia
119', colore
Paese:
USA
2010
Scritto da Exxagon nell'anno 2014 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
